Marco, sei sempre affabile e gentile. Il pubblico percepisce la tua naturalezza: in un mondo in cui tanti artisti sono costruiti e non sempre genuini, la gentilezza e l’essere sé stessi paga Non potrei mai essere diverso da me stesso, non sono mai stato capace a fingere; quindi, per questo ho sempre odiato le persone che non dicono la verità o che fanno i lavativi quando hanno colpe. Sicuramente la falsità è la cosa che odio di piu’. Esseri veri è alla base di tutto con i pregi e i difetti che ognuno possiede.
Il pubblico comunque ha una percezione di te che è quella del bravo ragazzo… È uno spunto interessante su cui pensare perché io sono come tanti altri, non sono meglio, ma devo dire che i miei genitori su di me hanno fatto un buon lavoro e mi devo ritenere soddisfatto di essere l’uomo che sono oggi anche se ho ancora da migliorare tanti comportamenti che non piacciono in me. Sono un overthinker, penso tanto e mi auto analizzo spesso e questo, insieme alla terapia che sto facendo con una psicologia straordinaria, mi aiuta a cercare sempre di migliorare i miei limiti.
E le persone ti amano per questo. Non lo so, io sono solo me stesso.
Appunto, ti amano perché sei diverso, non tutti riescono ad esserlo e ad ammettere le proprie “debolezze” in modo cosi’ disarmante. I miei gesti sono spontanei, se ti dico perché ho pianto a Sanremo non lo so: mi è venuto cosi’…
Allora ti ricordo cosa ha detto di te, non il pubblico comune, ma il Maestro Bebbe Vessicchio : “Mengoni è uno che sa già palleggiare a tre anni, è un talento innato perché ha una familiarità incredibile con l’espressione vocale. C’è una bella sovrapposizione tra la cosa che canta e come la canta e, riferendomi a Due vite, è esattamente lui”. Ti ci ritrovi? Beh, quello che dice Beppone è insindacabile! Lui è IL maestro! Si, in certe cose mi ci ritrovo, poi lui le ha enfatizzate in modo aulico. Ha fatto un paragone con Maradona che palleggiava a tre anni e per me è un onore questo giudizio ma so che sono un autodidatta che ha lavorato tantissimo sulle capacità canore. Io non ho mai lavorato con lui, l’ho incontrato poche volte.
In questo caso la sua valutazione ha ancora piu’ valore… Certo vale tantissimo perché ha un’apertura mentale straordinaria: è uscito dall’orchestrazione per dedicarsi ai giovani di “Amici” e quindi ha un’esperienza di valutazione a 360 gradi della musica e del talento che possono avere i principianti.
A proposito di sensibilità: parliamo di “Due vite”. Quanto è bello aiutare le persone a ritrovarsi nelle tue parole che concretizzano verbalmente delle emozioni che è difficile esternare? Fai un po’ da terapeuta per chi non riesce ad esprimere quello che ha dentro? Tu hai iniziato questa domanda con “Quanto è bello”, io ti rispondo “Quanto è difficile”. Prima di tutto sono fortunato a non essere da solo. C’è chi ascolta i miei tormenti, i miei appunti disordinati e mi aiutano a mettere su carta dei pezzi di senso compiuto. Ma le canzoni sono istintive e non pensi subito a come possa percepirle il pubblico.
Nel tuo caso! Ma ci sono molte canzoni un po’ “ruffiane” che vengono costruite per un determinato range di pubblico con tematiche magari banali ma che possono piacere a piu’ persone possibili. Come i tormentoni estivi intendo. No, io non ci penso all’impatto che possa avere un mio testo alla radio. Dico quello che penso e che sento senza seguire direttive o mode. Se il pubblico si emoziona con una mia canzone perché la sente “sua” e si riconosce, penso che sia la vittoria di chi fa il mio mestiere. Per quanto possano esserci i premi, i dischi di platino eccetera, il mio gol è questo. In realtà io pensavo che “Due vite” fosse molto complicato perché canto di una relazione che non è tra due persone ma con te stesso, uscendo ed entrando dal mondo dell’emotività e dal quotidiano. Pensavo fosse complicato da spiegare ed era un lavoro su me stesso che non sapevo se sarebbe arrivato a chi la ascoltava. È una canzone di 4:40 minuti, lunga, ha due incisi ed è armonicamente non convenzionale. E invece poi è arrivata.
Ok, adesso la domanda con cui ti perseguiteranno un po’ tutti: ce la facciamo all’Eurovision? Arrivarci ci arriviamo a Liverpool ma ti assicuro che non ci penso e non ho pressione su questo punto di vista. Non sono importanti per me i premi o le classifiche. Ovviamente sono contento, sono soddisfazioni ma non ho l’ansia da prestazione. L’importante è esserci, partecipare e divertirsi. Poi ho già vinto premi, ho già avuto le mie soddisfazioni quindi arrivare primo o ultimo non è un dilemma. Dieci anni fa ero una persona diversa. Adesso le priorità sono altre: appunto, ispirare chi ascolta la mia musica piu’ che guardare i numeri delle visualizzazioni o le classifiche. I numeri fanno sempre meno parte della mia vita.
Lo sai che questa affermazione è psicologicamente sinonimo di una consapevolezza che forse solo gli artisti di lungo corso possono permettersi? E tu invece hai solo 34 anni…complimenti. Beh, alla fine nel mio percorso ci sono arrivato ma ne devo fare ancora di strada.
Parliamo del tuo nuovo album, ultimo della trilogia “Materia”: “Prisma”. Il nome mi incuriosisce, raccontami di quello che ci hai voluto mettere dentro in questo progetto. Il titolo è arrivato dopo perché sapevo già cosa mettere nell’album e poi è arrivata questa parola di un oggetto che per me è magico: apparentemente ha una luce bianca ma dal suo interno la trasforma in tantissimi colori, quindi, è il simbolo di come tutto sia relativo rispetto a quello che vedi superficialmente. Credo che l’uomo sia un po’ un prisma.
Che colori ci sono in questo album? Tutti i colori possibili e immaginabili. Una gran parte del disco è stata scritta in un momento in cui ero arrabbiato per delle cose che succedevano, intorno a me e alla società in generale e quindi è un po’ polemico. Va a toccare degli atteggiamenti, degli stati d’animo che sono degli altri ma appartengono anche a me: anche al fatto di essere frustrato da non riuscire ad uscire dai miei limiti o dal mio modo di essere. È una ricerca di equilibrio.
Alleggeriamo il discorso: ma è vero che hai fatto il test del Dna? Si, perché quando ero in America mi chiedevano spesso se fossi iraniano o iracheno. E neanche a far vedere il passaporto ci credevano. Mi arrabbiavo! Cosi’, mi sono incuriosito e ho fatto il test scoprendo che sono italiano solo per il 35% ed effettivamente il 16% è iraniano. Scoprirlo su base scientifica è una cosa piu’ allettante.
Ok, quindi se non vinci all’Eurovision possiamo dire che l’Italia non ha partecipato perché sei oriundo e li zittisci tutti cosi’…? Finisce con questa ridicola battuta su cui ridiamo apertamente la nostra chiacchierata con Marco Mengoni. Ci concediamo delle foto un po’ ironiche che confermano l’empatia che si è creata durante l’ultima mezz’ora.
Gli chiedo un favore: di guardarmi durante il concerto, perché sarò sotto il palco a fare le fotografie e ci terrei ad un bel close up dei suoi occhi iracheni. Lui mi risponde nel modo piu’ disarmante: “Scusa, ma io non ci vedo benissimo, non so se ti vedo, non ho 10/10. Devo mettere gli occhiali come fate tutti ma non lo faccio mai nei concerti…”
Abbiamo capito: un difetto…Marco Mengoni ce l’ha!
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